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venerdì 10 febbraio 2012

"Che tempo che farà" con Luca Mercalli

Oggi ho partecipato a un incontro presso la mia Università, la Statale di Milano, organizzato dagli studenti stessi e riguardante il futuro della Terra.
Oltre ai docenti presenti (Claudio Smiraglia, professore di Geografia fisica e Geomorfologia; Gabriele Caiati, professore di Economia ambientale; Claudia Sorlini, professoressa di Microbiologia agraria), lo "special guest" :) del dibattito è stato Luca Mercalli, meteorologo e climatologo, già noto ai più per le sue apparizioni settimanali alla trasmissione "Che tempo che fa" e per i suoi articoli su vari giornali e quotidiani, tra cui La Stampa.
In questo post farò un sunto di quanto è emerso di significativo nell'incontro.

Mercalli inizia il dibattito partendo dal suo ultimo libro pubblicato, "Prepariamoci". Non è un semplice vademecum contenente dogmi e regole a cui attenersi rigidamente e ciecamente, spiega l'autore, perchè di libri così ne esistono già a bizzeffe. Non si sarebbe mai sognato di scrivere un libro del genere, se non avesse prima provato a realizzare lui stesso le soluzioni ai problemi di cui parliamo oggigiorno. Nel libro infatti dimostra che tutti gli avvenimenti che ci circondano hanno un comune denominatore e le stesse matrici, e solo dopo che il lettore ha capito il meccanismo, l'autore racconta le sue scelte eco-compatibili.

Partendo da una parola molto in voga negli ultimi tempi, la "crescita economica", divinità venerata da economisti, industriali e politici, Mercalli rivolge al professor Caiati delle domande che forse già molti di noi si pongono da un po': perchè l'economia continua a negare che il mondo è fisicamente finito? Perchè non ammette che esso non può continuare a essere sfruttato nei modi che conosciamo con il mero scopo della crescita? Perchè l'economia continua a perseguire la crescita e non ammette che quest'ultima non può essere infinita?

La risposta del docente è talmente deprimente da far pensare che l'homo sapiens sapiens forse non meriti del tutto questo epiteto: gli economisti hanno ignorato la limitatezza delle risorse terrestri fino agli anni '80 perchè la maggior parte dei beni ambientali, non passando per il mercato, sono considerati senza valore, invisibili, di fatto inutili. Un pensiero così banale e avventato da far gelare il sangue nelle vene se si pensa all'influenza che l'economia e gli economisti hanno sulle scelte politiche dei Paesi.
E' ovvio infatti che senza beni e risorse ambientali non può esserci vita.
La crescita, afferma Caiati, è ancora possibile, a patto che venga cambiato il nostro sistema di crescita e di vita. In pratica, l'economia deve smaterializzarsi, deve quindi tutelare e proteggere l'ambiente.
Infine, non meno scontato, questo cambiamento bisogna volerlo. Il passaggio da un tipo autodistruttivo di crescita ad uno sano richiede grandi costi adesso, ma provocherebbe un guadagno enorme in termini di ambiente. Siccome però la maggior parte di noi sembra non voler rinunciare a nulla adesso per guadagnare in futuro, ecco che allora questo passaggio non avviene mai. Siamo di fatto una razza con poca memoria storica e che vive nel contingente, come afferma il professor Smiraglia.

Mercalli sottoscrive in toto e afferma che a partire dalla Rivoluzione industriale ci siamo ritrovati a essere prigionieri del dogma della crescita, tanto che al giorno d'oggi sembra più difficile cambiare questa legge piuttosto che quelle fisiche e della natura, che sono nate prima di noi e che di certo non risparmiano niente e nessuno.
Senza contare poi che la crescita di cui parlano i nostri politici è una crescita che riguarda solo noi, già benestanti e privilegiati e che corrispondiamo a 1/3 di tutta la popolazione mondiale.
Siamo persuasi che il fine dell'uomo sia il lavoro e siamo schiavi della competitività. Siamo sicuri che all'aumentare del nostro reddito, aumenti anche il nostro livello di soddisfazione, la nostra felicità?



Un manager e intellettuale italiano di grande successo che aveva già riflettutto su tutto ciò negli anni '70, con un incredibile anticipo, fu Aurelio Peccei (1908-1984).
Peccei considera la storia dell'uomo. Centinaia di migliaia di anni caratterizzati da nomadismo, caccia e raccolta, 10.000 anni di agricoltura, l'economia fino all'800 si è sempre evoluta in modo piuttosto lento. Il '900, e in particolar modo la seconda metà in cui si trova a riflettere Peccei, sono invece contraddistinte da una esplosione della crescita demografica e da una crescita economica basata sullo sfruttamento di risorse esauribili. Questo è asimmetrico rispetto alla nostra storia, non può che trattarsi di un periodo molto breve perchè nel 21° secolo i limiti fisici metteranno dei freni a questo sistema. A conti fatti, la scarsità delle risorse sarà il vero grande buco nero che minaccerà l'umanità nel giro di qualche decennio.
Questa tesi logica fu ben accolta negli anni '70, soprattutto perchè la crisi petrolifera del 1973 aveva costretto a ridurre i consumi e portato a una battuta d'arresto dello sfruttamento selvaggio del petrolio.
Tutto cambiò qualche anno più tardi, quando l'Arabia Saudita immise sul mercato le sue smisurate quantità di petrolio. Si diffuse un atteggiamento di fiducia nelle riserve disponibili di petrolio e nelle scoperte scientifiche, che a tempo debito avrebbero fornito la soluzione per sopravvivere in un futuro lontano privo del prezioso oro nero. Le avanguardistiche ricerche di Peccei furono quindi offuscate e caddero nel dimenticatoio. Fu così che gli umani persero altri 10 anni utili per poter arrivare un po' più preparati a questo momento drammatico.

Attualmente stiamo utilizzando il 135% delle risorse della Terra, viviamo a credito togliendo risorse alle generazioni future. Il nostro sfruttamento è equivalente a quello di una Terra + un altro terzo di Terra!
Stiamo vivendo oltre i nostri limiti e mezzi, ma non mostriamo molta fretta di voler cambiare le cose. Il problema, secondo il professor Smiraglia, è di tipo antropologico: non vogliamo sentirci dire che tra non molto tempo dovremo far fronte a un problema enorme.

Che cosa fare per sciogliere questo nodo psicologico? Dobbiamo riuscire ad aumentare la sensibilità ambientale che è quel fattore che determina la domanda di qualità ambientale. Una maggiore e diffusa sensibilità ambientale, da un lato, esercita una pressione politica, necessaria affinchè vengano prese decisioni politiche efficaci dal punto di vista ambientale, dall'altro spinge le imprese ad optare per soluzioni eco-compatibili.

Concludendo, Mercalli spiega quali punti secondo il suo parere possono portare a un nuovo metodo non basato sulla crescita fine a se stessa:
  • una popolazione stabilizzata attraverso metodi culturali e non coercitivi (un esempio che funzionò per lungo tempo fu quello della popolazione alpina dei Walser, che nel passato ritardavano di proposito l'età del matrimonio per diminuire il numero di figli per coppia);
  • l'abbattimento del superfluo e del consumo smodato nei paesi ricchi;
  • l'introduzione della tecnologia più avanzata nei paesi in via di sviluppo e in quelli emergenti, per non costringerli a ricalcare le orme della rivoluzione industriale europea con tutti gli errori del caso e a condannarli ad essere costantemente in una condizione di arretratezza;
  • lo sforzo da parte dei paesi emergenti a non imitare i cattivi modelli provenienti dal mondo ricco (ad esempio la cementificazione selvaggia).

Perchè tutto possa cambiare ci vuole conoscenza, impegno di ogni singolo abitante e impegno politico. Dobbiamo capire che i vincoli fisici "sono lì che ci guardano, sono enormi e se ne fregano delle nostre disquisizioni socio-politiche. Serve fantasia, un po' di utopia e urgenza".

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